C’è una riflessione sulla vita, fatta da F. Nietzsche, che io amo particolarmente, la considero l’anima di tutta la sua esistenza, l’anima della sua elaborazione filosofica: “No! La vita non mi ha disilluso! Di anno in anno la trovo invece più vera, più desiderabile e più misteriosa ‒ da quel giorno in cui venne in me il grande liberatore, quel pensiero cioè che la vita potrebbe essere un esperimento di chi è vòlto alla conoscenza ‒ e non un dovere, non una fatalità, non una frode! […] per me essa è un universo di pericoli e di vittorie, in cui anche i sentimenti eroici hanno la loro arena. “La vita come mezzo della conoscenza”: con questo principio nel cuore si può non soltanto valorosamente, ma perfino gioiosamente vivere e gioiosamente ridere! » (F. Nietzsche dall’aforisma numero 324 di “La gaia scienza”, Milano 1979, edizioni Adelphi, traduttore Sossio Giametta).
Una riflessione che può funzionare da bussola per potersi orientare nella selva di meditazioni, oracoli e proclami di verità salvifiche, che assaltano e minacciano la nostra integrità psicofisica in questo periodo di “coronavirus”. Innanzitutto ci dice che da sempre la vita è un “universo di pericoli”. Oggi stiamo semplicemente assistendo al sollevarsi del “velo” con cui la cultura dominante ha nascosto questo dato di fatto, lasciando isolati e impotenti gli uomini che, a turno, da sempre fanno esperienza del dolore e della morte che, inevitabilmente, irrompono nella loro vita.
Il “coronavirus” strappa senza troppo tatto, come le catastrofi nella tragedia greca antica, questo velo, mostrando in un sol colpo che la vita di tutti, nessuno escluso, è “un universo di pericoli”. Dopo questa premessa Nietzsche ci confida cosa abbia reso la sua vita “più vera, più desiderabile e più misteriosa” : “l’amore per la conoscenza”.
Ma cosa è per lui la conoscenza? Potrebbe “bastare” la citazione che segue per illuminarci a riguardo : “La vita stessa ci ricompensa della nostra tenace volontà di vita, di una tal lunga guerra, quale io condussi allora con me stesso contro il pessimismo della stanchezza di vivere, già per ogni sguardo attento della nostra gratitudine, che non si lascia sfuggire i doni più piccoli, delicati e fuggevoli della vita. In cambio riceviamo alla fine i suoi grandi doni, forse anche il più grande che essa possa dare, riceviamo di nuovo il NOSTRO COMPITO” (F. Nietzsche, dalla prefazione di “Umano, troppo umano” volume secondo, Milano 1979,edizione Adelphi, traduttore Sossio Giametta).
Questa è “la conoscenza” che Nietzsche ama, una conoscenza che non allontana, non fa fuggire dalla vita, ma immerge in essa, nonostante, anzi, grazie ai suoi pericoli, riconoscendo in questo stesso “nostro compito”, vivere la vita, il premio che la vita continuamente ci riassegna per il nostro coraggio di aprirle cuore e mente. È forse questa l’“anima” di quel nietzschiano “eterno ritorno” che ci costringe a prendere la vita “tremendamente” sul serio, per non condannarci a vivere all’infinito nell’insensatezza. Le sue considerazioni non finiscono qui. Il nostro amico Friedrich ci mette in guardia da quelle forme di conoscenza che, diversamente da quella da lui onorata, ci conducono lontano dalla vita.
Egli parla di “dovere”, “fatalità”, “frode”. Ci parla di tutte quelle “rappresentazioni del mondo” che soddisfano il nostro pigro bisogno di risposte chiare e distinte.“Rappresentazioni del mondo” tanto rassicuranti quanto degradante è la prigione di doveri, fatalismo , pietose frodi, in cui chiudono l’uomo, spinto a rinunciare, in cambio di quelle rassicurazioni, alla dolce fatica del vivere da protagonista la propria storia. Due citazioni illuminanti a proposito, entrambe da “Umano, troppo umano”:
«Si distinguano i viaggiatori in cinque gradi: quelli del primo e più basso grado sono coloro che viaggiano e vengono visti viaggiare – essi propriamente vengono viaggiati e sono per così dire ciechi; i secondi sono essi a vedere realmente il mondo; i terzi fanno delle esperienze in conseguenza del vedere; i quarti rivivono dentro di sé le esperienze fatte e le portano via con sé; infine ci sono alcuni uomini di massima forza che devono da ultimo necessariamente anche rivivere fuori di sé, in azioni e opere, tutto ciò che hanno visto, dopo averlo sperimentato ed internamente vissuto, non appena siano tornati a casa. Simili a queste cinque categorie di viaggiatori vanno in genere gli uomini tutti per l’intero pellegrinaggio della vita, i più bassi come mere passività, i più elevati come coloro che agiscono e muoiono senza alcun residuo inutilizzato di fatti intimi.» (F. Nietzsche, aforisma numero 228 da “Umano, troppo umano” volume secondo, Milano 1979,edizione Adelphi, traduttore Sossio Giametta).
“Tutte le grandi potenze spirituali esercitano, oltre alla loro azione liberatrice,anche un’azione oppressiva” (F. Nietzsche, dall’aforisma numero 262 di “Umano, troppo umano” volume primo, Milano 1979,edizione Adelphi, traduttore Sossio Giametta).
Tra le grandi “potenze spirituali”, oltre alle “grandi religioni” che hanno determinato la storia della nostra specie, vorrei annoverare,ad un livello più infimo, tutti quei sistemi di pensiero che oggi, con il pretesto di onorare la vita (il più delle volte non altro che l’ego dei loro “creatori”), distolgono la nostra attenzione ed energia dalla nostra vita, chiudendoci in “verità”, in “nuovi dogmi” alla moda, spesso chiamando a supporto e testimonianza la scienza stessa, una scienza ad uso e consumo del “guru” di turno.
Il tempo del “coronavirus” è un tempo favorevole al loro propagarsi, alla possibilità di decuplicare i loro adepti. E’ un tempo in cui l’esperienza della propria fragilità, la mancanza di strumenti per cogliere ciò che di buono e bello da essa può derivare, possono renderci facili prede di queste numerose “frodi”. Stupenda è la frase con cui Nietzsche chiude la sua riflessione, con cui anch’io chiuderò la mia, una bussola preziosa offerta a tutti noi per discernere la “giusta” conoscenza dalle sue finzioni: “La vita come amore della conoscenza, con questo principio nel cuore si può non soltanto valorosamente, ma perfino gioiosamente vivere e gioiosamente ridere!”.